racconti grecanici

Quello che precede il gesto, a me caro, del puntare e scattare una fotografia è una domanda, talvolta un bisogno. Spesso utilizzo la fotografia per documentare degli ambiti che mi interessano e a volte è lei stessa a farmi riscoprire degli interessi latenti. E’  curioso osservare come uno strumento possa innescare tutto ciò, come un oggetto diventi più di un pezzo di metallo e vetro e possa funzionare da ponte per avvicinare persone con vissuti molto diversi.

Quando con Domenico Guarna iniziammo a riflettere sul patrimonio calabrese e sulle nostre radici ci trovavamo nel parco nazionale della Sila per alcuni progetti di riqualificazione urbana e ci rendemmo subito conto di essere accomunati dallo stesso bisogno, dalla sete di avere risposte alle nostre domande. Allo stesso tempo decidemmo di restringere il campo di azione e di focalizzare la nostra attenzione su un’altra riserva naturale ricca di storia, il parco nazionale dell’Aspromonte.

L’area grecanica, oltre ad essere luogo di nascita di entrambi rappresentava una sfida. Ci appartiene, e noi apparteniamo a lei. Rapportarsi con qualcosa talmente vicina fa sempre paura ma allo stesso tempo ci seduce e sembra non ne possiamo fare a meno.

Da circa due anni visitiamo regolarmente i paesi di questo territorio. Gallicianò è per me uno dei punti di maggiore interesse, mi affascina la sua storia e mi rincuora la forza di resistere della sua comunità ormai ridotta a pochi abitanti. Entrarci in contatto non è sempre facile data la loro natura introversa, bisogna farlo con costanza e pazienza, prerogativa dei progetti a lunga scadenza.

L’incanto non riguarda solo l’antico paese, bensì è anche il percorso a suggestionare chi intraprende questo viaggio. Lungo la strada si staglia imponente la fiumara dell’Amendolea, con i suoi sassi bianchi e il suo percorso d’acqua argentato, poi ad un tratto un grande sperone roccioso a tre punte si erge dal letto della fiumara come un’isola dal mare.

Lungo la fiumara a destare stupore non è solo natura indomita ma sopratutto gli attimi, l’inatteso. Può capitare di osservare gruppi di capre che nelle giornate di pioggia intensa trovano riparo nelle cavità delle rocce formando dei bellissimi presepi. Può accadere di vedere un nonno sul gradino di ingresso della casa intento a sbucciare pazientemente un’arancia al suo nipotino e allo stesso tempo farti cenno con la mano. Si può incontrare lo sguardo stanco di un’anziana che con forca e rastrello sulla spalla non manca di offrirti un fico d’India.

Una volta arrivato in paese, la prima cosa che mi piace sentire è un accogliente “kalispera!”, il saluto che Mimmo “l’artista” riserva ai forestieri di casa come me.

Attraverso questa comunità sto imparando cosa significa entrare nell’intimità di un paese e che a volte una bella storia è più importante di una bella fotografia, e che comunque la precede.

Ho imparato che la diffidenza, se ha occhi e mani semplici, si supera con gli stessi occhi e mani semplici.

La nostra terra mi ha donato un senso di appartenenza che risponde a una legge di reciprocità ben precisa. Bisogna restituire le attenzioni ricevute prendendosene cura, e il mio modo per farlo è raccontare la nostra terra e chi la abita.